BREVI CENNI SULLA SEPARAZIONE E IL DIVORZIO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Quando si decide di formare una famiglia, purtroppo, bisogna tenere in considerazione anche la possibilità che il rapporto di coniugio possa venir meno. Incompatibilità di carattere, infedeltà, violenze o altre problematiche possono generare una rottura del rapporto instauratosi, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di coniugio, temporaneamente o definitivamente.

Separazione e divorzio producono effetti diversi, poiché diversa ne è la ratio e le finalità.

Nello specifico: la separazione, affinché, possa avere effetti legali non deve trattarsi di una mera separazione di fatto, quindi, “l’allontanamento dei coniugi” deve trovare una formalizzazione in un provvedimento del giudice, in un provvedimento dell’ufficiale di Stato civile o in un accordo di negoziazione assistita gestito dai rispettivi avvocati. La separazione può essere consensuale o giudiziale e determina la sospensione del rapporto che può sfociare in una riconciliazione o nel divorzio. Per quanto attiene quest’ultimo, esso scinde definitivamente il vincolo matrimoniale tra marito e moglie, comporta, cioè, la “cessazione degli effetti civili del matrimonio”, viene disciplinato dalla legge n. 898/1970 a cui devono aggiungersi i numerosi interventi giurisprudenziali.

Dal 2015, il tempo che deve intercorrere tra separazione e domanda di divorzio è stato ridotto.

Non sono più necessari tre anni ma se i coniugi si sono separati consensualmente, sono sufficienti sei mesi, se, invece, la separazione è stata giudiziale, deve passare un anno dalla prima udienza davanti al giudice.

Con la separazione marito e moglie sono “solamente” coniugi separati. Ciò vuol dire che, essi, non devono più rispettare i doveri coniugali, sono liberi di porre fine alla convivenza sotto lo stesso tetto, non devono più rispettare il dovere di fedeltà. Ciò nonostante, dopo la separazione si rimane coniugi, e dunque, non si può contrarre un altro matrimonio ed in caso di decesso di uno dei due coniugi, il coniuge superstite vanta il diritto alla pensione di reversibilità dell’ex in caso di decesso di quest’ultimo. A riguardo la Corte di Cassazione[1], ha ribadito che la pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato con addebito o nel caso abbia rinunciato all’eredità. In caso di divorzio, invece, l’ex coniuge superstite ha diritto solo a una quota della pensione di reversibilità che viene calcolata tenendo conto della durata del matrimonio, del diritto al mantenimento e delle condizioni economiche del soggetto beneficiario e, in ogni caso, solo in presenza di determinate condizioni:

  • il rapporto di lavoro che dà diritto alla pensione deve risalire al periodo antecedente alla sentenzadi divorzio;
  • il coniuge superstite doveva avere diritto all’assegno divorzile periodico. Per cui, se l’ex coniuge sopravvissuto non aveva questo diritto o aveva percepito l’assegno in un’unica soluzione, non avrà diritto alla pensione di reversibilità;
  • l’ex coniuge sopravvissuto dopo il divorzio non deve aver contratto nuove nozze;

In sede di separazione permangono i diritti successori, al contrario in sede di divorzio, il matrimonio si scioglie per cui tali diritti si perdono definitivamente.

Se tra i due coniugi vi è una netta disparità economica, il coniuge deve versare all’ex “economicamente debole” un assegno di mantenimento volto a garantire lo «stesso tenore di vita» avuto durante il matrimonio. Il mantenimento non è, però, dovuto se il coniuge beneficiario subisce l’addebito ossia viene ritenuto responsabile per la fine del matrimonio. Altri elementi sulla base dei quali viene calcolato l’assegno di mantenimento sono:

  • l’impegno e la cura personale di figli minori, disabili o maggiorenni ma non autosufficienti;
  • l’incapacità di reddito per ragioni oggettive;
  • la mancanza di adeguata formazione professionalecausata dall’essersi dedicato alla cura della famiglia e dei figli;

In passato, l’indicazione dello stesso tenore di vita veniva tenuto in considerazione anche per quantificare l’assegno divorzile, tuttavia, questa indicazione ad oggi,  è venuta meno, come spiega la Corte di Cassazione[2], in quanto, il divorzio recide definitivamente ogni legame di assistenza morale e materiale tra i coniugi e la funzione assistenziale dell’assegno di mantenimento è giustificata solamente quando l’ex coniuge, a causa di motivi che non dipendono da sua volontà, non è in grado di mantenersi, quindi l’assegno di divorzio mira a garantire solo l’autonomia e l’indipendenza economica del coniuge non, invece, lo “stesso tenore di vita” goduto durante il matrimonio.

Le Sezioni Unite[3] hanno chiarito, tuttavia, che quanto affermato non riguarda quelle situazioni dove uno dei due coniugi, che si è da sempre dedicato alla casa e alla famiglia, ha rinunciato alla sua carriera contribuendo all’arricchimento dell’ex, facendo sì che quest’ultimo potesse dedicarsi al lavoro. Tali situazioni, al contrario, devono essere salvaguardate. Di recente, la Corte di Cassazione[4] ha ribadito nuovamente questo principio.

Per quanto riguarda il mantenimento dei figli ed il rapporto con i genitori: salvo quanto esplicitamente stabilito in sentenza dal giudice, in linea generale, i rapporti tra genitori e figli restano immutati. Entrambi i genitori devono continuare a rispettare gli obblighi previsti all’art. 147 c.c. ovvero mantenerli, istruirli, educarli ed assisterli moralmente.

Sulla base del principio del “superiore interesse del minore” il giudice dispone l’affidamento congiunto o esclusivo. Vengono stabilite le modalità con cui in concretizzarsi il diritto di visita, nonché l’indicazione dell’assegno di mantenimento, che dovrà essere quantificato in modo da garantire alla prole lo stesso tenore di vita precedente allo scioglimento del matrimonio o alla separazione.

[1] Sentenza n. 2606/18

[2] Sentenza n. 11504/17

[3] Corte di Cassazione sentenza n. 18287/18

[4] Sentenza n. 28104/20